Quella notte tra il 13 e il 14 novembre 1985, un cuore si arrestò, il tempo tra due battiti si dilatò da pochi istanti a ore, prima di tornare a battere nel petto di un’altra persona. Chissà se ci pensava alle tre del mattino Vincenzo Maria Gallucci, cardiochirurgo e professore universitario, mentre la Mercedes grigia sui cui era a bordo sfrecciava sulla tangenziale di Mestre. Sulle ginocchia la borsa termica con il cuore di Francesco Busnello, un diciottenne trevigiano appena deceduto per un incidente stradale. Venivano dall’ospedale di Treviso, dove era stato fatto l’espianto, e ad aspettarli nel reparto di cardiochirurgia di Padova c’era il torace già aperto di Ilario Lazzari, un falegname di Vigonovo affetto da una grave forma di miocardiopatia dilatatoria.

A dare a Vincenzo Gallucci la fama fu il trapianto di cuore che eseguì quella notte, primo in Italia. l giorno dopo, alle sei del mattino, ad attenderlo fuori dalla sala operatoria c’era tutta Italia. Aveva ridato vita e speranza a un uomo e a tanti altri malati, che da allora non sarebbero stati più costretti ai “viaggi della speranza” oltreoceano.

Schivo e taciturno, tenace e determinato, di impenetrabile intima timidezza, incredibilmente gentile, colto e pieno di umanità. Aveva una dialettica e una logica sintetica, un’asciutta gestualità. Insegnava agli allievi con l’esempio, con pochissime parole sussurrate nei momenti meno attesi.

La sua abilità chirurgica era frutto di anni di studio e lavoro incessanti e assidui, prima a Padova nel gruppo di Pier Giuseppe Cevese, poi a Parigi nel centro cardiochirurgico dell’Hôpital Broussais e, infine, in America. Qui trascorse cinque anni, al Memorial Hospital di Charlotte diretto da Paul W. Sanger, dove lavorò a fianco di Francis Robicsek esperto di cardiopatie congenite, e alla Baylor University di Houston a fianco di due colossi della cardiochirurgia come Michael DeBakey e Denton Cooley. Gallucci tornò a Padova nel 1969 nella clinica chirurgica diretta da Cevese. Fu l’inizio di una brillante carriera: negli anni successivi ottenne il primariato del centro di cardiochirurgia e la cattedra di chirurgia cardiovascolare all’università di Padova.

Poco più di cinque anni dopo lo storico trapianto, la macchina su cui viaggiava sarebbe finita addosso al guardarail uccidendo il cardiochirurgo, ancora una volta di ritorno con i suoi collaboratori da un complicato intervento.

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